rubrica settimanale di agricoltura,
ambiente ed economia.

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Il Cardo

Fino a qualche anno fa – racconta Sauro Ferri di Ponticelli, una frazione di Imola – nei miei campi coltivavo il cardo bianco della varietà gigante di Romagna, adesso, però, preferisco la varietà Plein blanc inerme”. Una pianta, una tipologia, non troppo alta, folta, con numerose coste larghe, piene, carnose e completamente senza spine, di colore verde chiaro che imbiancano con facilità, a crescita rapida e che si conserva in modo eccellente in cantina durante l’inverno. Entro maggio la semina, da metà ottobre a marzo, la raccolta. Una pianta che non vuole troppa acqua, ma freddo. “E, soprattutto – aggiunge Ferri – meno soggetta a qualsiasi patologia. Poi, rispetto al gigante di Romagna, più produttiva, più pesante e, quindi, meno vuota con assenza di foglioline più piccole all’interno e migliore anche come qualità. Per me, il “gigante” è obsoleto e meno buono”.

Varietà a parte, il cardo da qualche anno ha ritrovato un interesse da parte del consumatore. “In realtà – precisa Stefano Tellarini, tecnico di agricoltura biologica ed esperto di vecchie varietà -, sulle tavole dei romagnoli non è mai mancato. Certo, è un prodotto, soprattutto il gigante di Romagna, un po’ scomodo per la nostra cucina casalinga. E’ grande, ingombrante, le coste devono essere passate in acqua bollente per diminuire l’amarezza e renderle più tenere ma, sicuramente, il sapore è davvero unico e invitante. E non manca mai alla vigilia di Natale.

E’ una tradizione, questa – aggiunge Ferri -, che ho imparato da poco, da quando i miei clienti me lo chiedevano soprattutto nel periodo delle feste. Non deve mai mancare in questi giorni, un po’ come le lenticchie”. Una coltura di nicchia, insomma, prodotta e consumata localmente e Ferri è contento di questa pianta e prosegue una coltivazione singolare nel suo genere. “Ne produco circa 100 quintali e quest’anno la qualità e la quantità sono state molto buone, meglio della passata stagione. Vendo ai mercatini di Imola e circondario o direttamente a casa e, da due anni, lo porto anche al Caab, il Centro Agroalimentare di Bologna. Posso dire con orgoglio, che sono uno dei pochissimi in zona a coltivare questo meraviglioso ortaggio, almeno con questo sistema”.
Un prodotto che prevede molta manodopera, costi di produzione alti e difficoltà di meccanizzazione nella maggior parte della lavorazione. “Intanto – aggiunge ancora Ferri -, ci siamo attrezzati con le macchine. Con l’aiuto dei mezzi passiamo attraverso le fila e, quindi, abbiamo meno produzione ma meno lavoro, anche se le braccia servono per diradare e rovesciare”.

La tradizione, dunque, prosegue e, nei piatti dei romagnoli buongustai ci sono ancora “gobbi e salsiccia”. In mancanza della carne ricca, si può anche cuocere con le costicelle o le spuntature o semplicemente in umido come raccomandava Artusi già nel 1891 nel suo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. E poi ricordiamoci le tante proprietà di questo ortaggio. “Il cardone è un erbaggio sano, di facile digestione, rinfrescante, poco nutritivo ed insipido; perciò è bene dargli molto condimento”. Parola di Pellegrino Artusi!

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